Mi accorgo solo ora che, quest'anno,
ricorre il trentesimo anniversario della scomparsa, tragica per
portata culturale e per modalità, di Primo Levi.
Primo Levi ha rappresentato, per me,
tra medie e superiori, la classica lettura obbligatoria respinta alla
sua prima proposta ed adorata nella riscoperta in età adulta. Ad
oggi posso affermare che i suoi libri sono stati, senza ombra di
dubbio, quelli più belli, profondi, densi di significato ed
iniziatici che abbia mai letto. Sono stati i libri che mi hanno
permesso, poco più che ventenne, di scoprire ed amare altri libri,
altri autori, altri scrittori. Hanno rappresentato l'incontro con il
pensiero, il ragionamento, la formazione, la bella scrittura, lo
stile. Ma, soprattutto: l'incontro con la parola usata con
responsabilità.
Tutto ha avuto inizio con La Tregua,
nell'edizione Einaudi di Se Questo è Un Uomo. Volevo vedere in prima
persona cosa realmente celasse di così interessante questo scrittore
che così spesso ritornava – incompreso da noi 'sbarbati' e
frainteso dai professori - nelle lezioni di Italiano, sovente
imbragato in presentazioni non in grado di accendere l'entusiasmo –
necessario in ogni avventura d'apprendimento – in quei giovanissimi
allievi quali noi eravamo (il Lager, la Shoa, la guerra
contro il nazifascismo, ecc., esattamente quanto di meglio per
fartene tenere a debita distanza). Lo ricordo ancora. Io che mi
faccio coraggio (al tempo non ero per nulla abituato alla lettura).
Mi rendo conto che il compito richiede un certo impegno. Comincio.
L'urto è frontale. Hurbinek, l'incarnazione dell'orrore in terra che
si fa pietà: pietà per un essere venuto al mondo con la sola,
mostruosa funzione di simboleggiare una fine del tempo unica nella
storia umana – e nella letteratura; pietà per la propria persona,
cui è toccato registrare questa testimonianza. Pagine che ancora
oggi pietrificano.
Mi persuado che questo Levi, le
qualità, le ha davvero. Vado indietro di un passo: Se Questo è Un
Uomo. La Storia Di Dieci Giorni. Mi ritrovo sconvolto. Nella mia
esperienza di lettore, sono pagine ineguagliate. Credo nemmeno i
grandi sceneggiatori hollywoodiani – che grandi, in molti casi, lo
sono davvero - siano riusciti, in questi decenni, nelle tante
produzioni dedicate vuoi allo sterminio vuoi all'apocalittico come
genere (doom), a
rendere la sensazione di totale annichilimento che quel solo capitolo
del libro di Levi riversa sul lettore - al punto da lasciarlo
completamente disarmato, perso tra l'orrore e la sua bellissima
descrizione.
Non riesco sinceramente a ricordare
la sequenza esatta con la quale ho percorso l'opera di Primo Levi.
Rammento solo di avervi incontrato tutti – dico 'tutti' – i temi
che un giovane post-adolescente poteva trovare degni di trattazione -
alcuni, come la dignità e la sanità del lavoro, assurti, oggi, allo
status di profezia, fatti oggetto del libro d'esordio e, in
maniera più specifica, ne La Chiave A Stella.
Ricordo bene, invece, di avere
terminato questo viaggio con I Sommersi E I Salvati, che iniziai a
leggere convinto che il signor Levi, seppur messi a bersaglio, i
colpi li avesse già tutti esplosi. Se avete letto questo testo, in
tutti i sensi 'ultimo', potete rendervi conto dell'effetto che può
avere avuto su di un pivello con una simile, presuntuosa convinzione.
Primo Levi è stato un lavoratore
dipendente fino al pensionamento, incaricato di una supervisione
tecnica fondamentale e non facilmente surrogabile. Al tempo stesso, e
cioè nel cosiddetto tempo libero, un intellettuale di riconosciuta
statura, frequentatore attento ed ascoltato del fiore della cultura
italiana del novecento. È riuscito, grazie ad una intelligenza non
comune, ad eccellere su entrambi i fronti. Sono aspetti che, per
quanto mi è dato più che sapere intuire, la scuola dell'obbligo non
tratta, a favore di visioni cristallizzate e prive di vita, non in
grado di stimolare nei giovani studenti l'attenzione grande che
merita a ragion veduta e a pieni meriti.
Che poi la sua uscita di scena sia
avvenuta per suicidio, ahimè, alimenta solo e proprio quelle
leggende che egli stesso avrebbe deprecato.
Era un uomo, Primo Levi. Aveva cioè
le stesse nostre debolezze e fragilità.
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