domenica 28 maggio 2017

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Non me ne frega niente
(Levante)
It's too much information for me
(Duran Duran)
Mio padre aveva un rito, in pensione. Uscita subito dopo la colazione; sosta in edicola; copia del Corriere Della Sera; di nuovo a casa; lettura del quotidiano dalla prima all'ultima riga, necrologi compresi. Quando ancora lavorava, il rito era limitato al fine-settimana. Era un gesto tanto frequente e regolare da essere legato al ricordo che ho di lui.
E così sono cresciuto – complice un maestro elementare che leggeva noi La Stampa – come un avido e compulsivo lettore di quotidiani. Principalmente, il Corriere Della Sera. Segretamente, Il Manifesto. Facevo rassegna stampa acquistando più quotidiani, perdendo diottrie, ma, soprattutto, sprovincializzando la mia personale visione del mondo.
Oggi, invece, quasi 20'anni dopo, sono capace di restare per giorni a digiuno d'informazione, senza peraltro soffrirne. Anzi: guardandomi bene, a volte, da persino visitare un sito d'informazione, per quanto ben gestito ed affidabile. Sono arrivato al punto da acquistare occasionalmente copie cartacee di quotidiani scelti a caso solo per impiegarli nella pulitura dei vetri di casa (la loro grana speciale consente una detersione perfetta, senza aloni). E non si citi la rivoluzione digitale come facile spiegazione. Che è successo, quindi?
In quella che è, oggi, la mia vita adulta, non v'è spazio per gestire la mole spaventosa di informazioni che siti web e quotidiani spacciano per rilevante. Anche dando a questi organi la massima fiducia, mi è possibile, al massimo, operare un'ulteriore cernita di ciò che ritengo sia da considerarsi estremamente rilevante. Fatto ciò, permane il problema di portarne a termine la lettura entro la giornata e con un adeguato livello di attenzione - oltre a quello del tempo da dedicare a letture di studio e di apprendimento, senza il quale verrebbe a mancare l'apparato culturale per una seria interpretazione dei fatti.
E poi c'è da dire che davvero “non me ne frega niente” delle tante grandi e piccole tragedie private - quali sono, ad esempio, certi fatti di 'nera', altri di mera cronaca e molti di 'giudiziaria' – che troppo spesso 'l'informazione' spaccia come di pubblico dominio ed interesse, ma in realtà non sono altro che riempitivi per vuoti ideologici, di pensiero e tipografici. Separare la fuffa – che è tantissima - dalla notizia degna di approfondimento è un'operazione ad alto dispendio di energie intellettuali - risorse che a volte non ho, a volte preferisco impiegare in altre attività (mea culpa). Fate un giro in quelle spassosissime sezioni, onnipresenti nelle pagine iniziali dei siti d'informazione, dedicate ai temi del giorno più 'cliccati'. Dichiarazioni prive di peso di politici di piccolo cabotaggio e calciatori; l'ennesimo ladruncolo del 'quartierino'; persone scomparse; supposti omicidi passionali; gli sbarchi a Lampedusa; X Factor; marchette editoriali; le foto del giorno; immagini di incidenti stradali, marittimi, aeronautici; gossip a 360°. Sono sempre più convinto non vi sia uno solo di questi pseudo-temi in grado di avere una qualche influenza sul mio quotidiano. Perché a questo deve mirare la notizia: concentrare il lettore sulle conseguenze di gesti quotidiani che fino a quel momento sono stati compiuti con noncuranza – sebbene in totale buona fede.
La nostra è un epoca di grandissimo disincanto. L'impiego della menzogna, oltre al non suscitare più alcuna questione morale interiore, è dato per scontato ad ogni livello ed in ogni àmbito. Certo: vi deve per forza essere, nel vivere civile, una certa dose di ipocrisia. Quanto meno per non darci delle teste di cazzo dal panettiere o all'ufficio anagrafe, per intenderci. Fatto questo, però, devono esistere àmbiti dai quali la menzogna è bandita, vista come inaccettabile ed impraticabile. Ecco: è sulla sussistenza di detti àmbiti che la coscienza comune ha da tempo cominciato a dubitare, seriamente. Di paro passo si è dato sempre più credito alla chiacchiera, per la semplice ragione – spaventevole – che non vi è nulla di più seducente di una verità conclamata, eclatante, assumibile senza alcuna verifica. Questo per sconfinare nel generico.
Per tornare, invece, al personale, non voglio dire che la carta stampata tutta consista di soli ciarlatani e falsificatori. C'è chi lo ha già ripetutamente detto – i cinquestellati –, con la conseguenza di fare - oltre a quella degli 'sboroni' - la figura degli assolutisti e di quelli con il record nazionale di citazioni in giudizio. Farà sorridere, ma quel che penso è che noi tutti - questa nazione di burini imbarazzanti -, nel tempo, ci si è comunque psicologicamente evoluti. Sprovincializzati sommariamente dal giornalismo militante dei '70 e dall'editorialismo principesco successivamente, abbiamo tutti più o meno scoperto di avere un es che pretende ad alta voce di essere nutrito con il solo cibo che lo aggrada. Questa la ragione, che credo possa venire condivisa, del perché, da tempo, io non senta più il bisogno di essere informato, quanto meno quotidianamente.
Il fatto è che troppe testate, oggi – quotidiani in primis –, sono pieni di notizie che, per i singoli lettori, sempre più spesso vengono percepite come indegne di questo status. Non sto parlando di fake news: quella è altra cosa. Se credi allo sbarco degli alieni, semplicemente te lo meriti. Sto parlando di notizie che non vengono passate al vaglio non tanto dei criteri di attendibilità, quanto a quelli della condotta e della coerenza editoriale. Non è di fatto possibile credere che quanto interessa noi sia di altrettanto stimolo per gli altri. Solo una ben definita, trasparente linea editoriale può essere, in questo contesto, di stimolo alla lettura e all'approfondimento. Ma va da sé che con la fine delle ideologie è andato perso anche l'orientamento politico che, come una bussola, guidava il lettore nelle scelte e nei giudizi. Sto sparando nel mucchio, lo so. Ma è esattamente ciò che penso al riguardo.
Una visione del mondo non può essere limitata ad una mera 'cultura dell'informazione'.
L'alternativa è un tipo di formazione che non passa dalla 'rete', non ha più luogo 'sulla strada', e non avviene più per autoformazione.
Avviene attraverso strumenti antichi ricavati dalla cellulosa, soggetti all'usura materiale del tempo, ed in questa nostro paese sempre meno frequentati, molto deprecati, ma anche, sorprendentemente, molto citati.
I libri.

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