Non me ne frega niente
(Levante)
It's
too much information for me
(Duran Duran)
(Duran Duran)
Mio padre aveva un rito, in pensione.
Uscita subito dopo la colazione; sosta in edicola; copia del Corriere
Della Sera; di nuovo a casa; lettura del quotidiano dalla prima
all'ultima riga, necrologi compresi. Quando ancora lavorava, il rito
era limitato al fine-settimana. Era un gesto tanto frequente e
regolare da essere legato al ricordo che ho di lui.
E così sono cresciuto – complice
un maestro elementare che leggeva noi La Stampa – come un
avido e compulsivo lettore di quotidiani. Principalmente, il Corriere
Della Sera. Segretamente, Il Manifesto. Facevo rassegna stampa
acquistando più quotidiani, perdendo diottrie, ma, soprattutto,
sprovincializzando la mia personale visione del mondo.
Oggi, invece, quasi 20'anni dopo,
sono capace di restare per giorni a digiuno d'informazione, senza
peraltro soffrirne. Anzi: guardandomi bene, a volte, da persino
visitare un sito d'informazione, per quanto ben gestito ed
affidabile. Sono arrivato al punto da acquistare occasionalmente
copie cartacee di quotidiani scelti a caso solo per impiegarli nella
pulitura dei vetri di casa (la loro grana speciale consente una
detersione perfetta, senza aloni). E non si citi la rivoluzione
digitale come facile spiegazione. Che è successo, quindi?
In quella che è, oggi, la mia vita
adulta, non v'è spazio per gestire la mole spaventosa di
informazioni che siti web e quotidiani spacciano per
rilevante. Anche dando a questi organi la massima fiducia, mi è
possibile, al massimo, operare un'ulteriore cernita di ciò che
ritengo sia da considerarsi estremamente rilevante. Fatto ciò,
permane il problema di portarne a termine la lettura entro la
giornata e con un adeguato livello di attenzione - oltre a quello del
tempo da dedicare a letture di studio e di apprendimento, senza il
quale verrebbe a mancare l'apparato culturale per una seria
interpretazione dei fatti.
E poi c'è da dire che davvero “non
me ne frega niente” delle tante grandi e piccole tragedie private -
quali sono, ad esempio, certi fatti di 'nera', altri di mera cronaca
e molti di 'giudiziaria' – che troppo spesso 'l'informazione'
spaccia come di pubblico dominio ed interesse, ma in realtà non sono
altro che riempitivi per vuoti ideologici, di pensiero e tipografici.
Separare la fuffa – che è tantissima - dalla notizia degna di
approfondimento è un'operazione ad alto dispendio di energie
intellettuali - risorse che a volte non ho, a volte preferisco
impiegare in altre attività (mea culpa). Fate un giro in
quelle spassosissime sezioni, onnipresenti nelle pagine iniziali dei
siti d'informazione, dedicate ai temi del giorno più 'cliccati'.
Dichiarazioni prive di peso di politici di piccolo cabotaggio e
calciatori; l'ennesimo ladruncolo del 'quartierino'; persone
scomparse; supposti omicidi passionali; gli sbarchi a Lampedusa; X
Factor; marchette editoriali; le foto del giorno; immagini di
incidenti stradali, marittimi, aeronautici; gossip a 360°.
Sono sempre più convinto non vi sia uno solo di questi pseudo-temi
in grado di avere una qualche influenza sul mio quotidiano. Perché a
questo deve mirare la notizia: concentrare il lettore sulle
conseguenze di gesti quotidiani che fino a quel momento sono stati
compiuti con noncuranza – sebbene in totale buona fede.
La nostra è un epoca di grandissimo
disincanto. L'impiego della menzogna, oltre al non suscitare più
alcuna questione morale interiore, è dato per scontato ad ogni
livello ed in ogni àmbito. Certo: vi deve per forza essere, nel
vivere civile, una certa dose di ipocrisia. Quanto meno per non darci
delle teste di cazzo dal panettiere o all'ufficio anagrafe, per
intenderci. Fatto questo, però, devono esistere àmbiti dai quali la
menzogna è bandita, vista come inaccettabile ed impraticabile. Ecco:
è sulla sussistenza di detti àmbiti che la coscienza comune ha da
tempo cominciato a dubitare, seriamente. Di paro passo si è dato
sempre più credito alla chiacchiera, per la semplice ragione –
spaventevole – che non vi è nulla di più seducente di una verità
conclamata, eclatante, assumibile senza alcuna verifica. Questo per
sconfinare nel generico.
Per tornare, invece, al personale,
non voglio dire che la carta stampata tutta consista di soli
ciarlatani e falsificatori. C'è chi lo ha già ripetutamente detto –
i cinquestellati –, con la conseguenza di fare - oltre a quella
degli 'sboroni' - la figura degli assolutisti e di quelli con il
record nazionale di citazioni in giudizio. Farà sorridere, ma
quel che penso è che noi tutti - questa nazione di burini
imbarazzanti -, nel tempo, ci si è comunque psicologicamente
evoluti. Sprovincializzati sommariamente dal giornalismo militante
dei '70 e dall'editorialismo principesco successivamente, abbiamo
tutti più o meno scoperto di avere un es che pretende ad alta
voce di essere nutrito con il solo cibo che lo aggrada. Questa la
ragione, che credo possa venire condivisa, del perché, da tempo, io
non senta più il bisogno di essere informato, quanto meno
quotidianamente.
Il fatto è che troppe testate, oggi
– quotidiani in primis –, sono pieni di notizie che, per i
singoli lettori, sempre più spesso vengono percepite come indegne di
questo status. Non sto parlando di fake news:
quella è altra cosa. Se credi allo sbarco degli alieni,
semplicemente te lo meriti. Sto parlando di notizie che non vengono
passate al vaglio non tanto dei criteri di attendibilità, quanto a
quelli della condotta e della coerenza editoriale. Non è di fatto
possibile credere che quanto interessa noi sia di altrettanto stimolo
per gli altri. Solo una ben definita, trasparente linea editoriale può essere, in questo
contesto, di stimolo alla lettura e all'approfondimento. Ma va da sé
che con la fine delle ideologie è andato perso anche l'orientamento
politico che, come una bussola, guidava il lettore nelle scelte e nei
giudizi. Sto sparando nel mucchio, lo so. Ma è esattamente ciò che
penso al riguardo.
Una visione del mondo non può essere
limitata ad una mera 'cultura dell'informazione'.
L'alternativa è un tipo di
formazione che non passa dalla 'rete', non ha più luogo 'sulla
strada', e non avviene più per autoformazione.
Avviene attraverso strumenti antichi
ricavati dalla cellulosa, soggetti all'usura materiale del tempo, ed
in questa nostro paese sempre meno frequentati, molto deprecati, ma
anche, sorprendentemente, molto citati.
I libri.
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