sabato 6 aprile 2019

VITE AL LIMITE. L'incredibile storia dei Mötley Crüe.


A quattordici anni sono stato un fan dei Mötley Crüe. Per impeto giovanile, disallineamento con la moda in auge e ribellione ai valori di famiglia – momenti, questi, che, in giovani psicologicamente sani, sovente corrispondono alla piena adolescenza. E perché, per dirla con le parole di Nikki Sixx, bassista e fondatore del gruppo, davvero, al di là della vulgata ufficiale, gli anni '80 furono “il peggior cazzo di decennio nella storia dell'uomo.”.
O, quanto meno, così lo percepivamo noi misfits.

Con il senno di poi, possiamo tranquillamente dire che non si trattò di una svista.
Mi pare iniziò tutto con il videoclip di Home Sweet Home, trasmesso con puntualità sconcertante (era il periodo dei 'Duran' e degli 'Spandau') dalle emittenti del Silvio Berlusconi, e dalla mai sufficientemente compianta Music Television. Un videoclip bruttino, fortemente autocelebrativo, pieno, però, di quegli elementi persuasivi (l'abusata triade sesso-droga-rock 'n roll) finalizzati a dimostrare come ancora si potesse ottenere 'successo' (parola chiave per correttamente leggere la vicenda artistica dei Crüe) pur non aderendo alla moda corrente.
Personalmente non potevo, al tempo, chiedere di meglio. Per quanto stupida possa sembrare una simile affermazione, finalmente mi sentivo rappresentato.
Da chi e cosa, infine, lo compresi solo in età adulta.
I Mötley Crüe non furono esattamente una band. Furono piuttosto una gang. I suoi componenti avevano in comune, prima ancora della passione per il rock 'n roll, trascorsi di abbandono, negazione, violenza, disadattamento e vagabondaggio. Spiegano la magnetica, invincibile attrazione di alcuni di loro, il cantante Vince Neil ed il bassista Nikki Sixx, per condotte di tipo criminale, tossico-dipendente e financo maniaco-sessuale, determinanti nella creazione della leggenda che ancora oggi avvolge il nome del gruppo. È alquanto probabile che, senza il successo arriso loro anche a fronte di detti eccessi, i quattro rockers avrebbero affrontato un percorso di vita più simile a quello rieducativo che di tipo artistico. La band fu quindi un modo per fuggire ad un destino che sembrava già segnato, ma che ugualmente li perseguitò per gran parte della carriera, portandoli in alcuni casi al limite con l'autodistruzione. Aprì loro un decennio di eccessi - e successi - smodati che qualunque manager di oggi non saprebbe né vorrebbe tollerare: furono gli epigoni dello stile di vita rock 'n roll.   Di levatura musicale mediocre, hanno prodotto una decina di dischi in quattro decenni scarsi di attività - incisioni stilisticamente stereotipate, caratterizzate da un buon suono e da testi improntati ad un edonismo perfettamente in linea con la condotta di vita dei suoi componenti.
La biografia dei Crüe, qui malamente riassunta, è invece rapidamente ed assai meglio raccontata nella recente produzione Netflix The Dirt, tratta dal libro omonimo del 2001. Un lungometraggio con il quale, ancora una volta, la piattaforma statunitense riesce a fornire al pubblico pagante una visione godibile (a patto di essere disponibili alla scandalo), una narrazione efficace e persuasiva pur non toccando vette di assoluta eccellenza; capace di raccontare un'era, una tendenza, un caso commerciale ed umano, senza per questo scadere nella pesantezza tipica di chi, come il sottoscritto, sebbene indirettamente, quelle vicende ha vissuto da imberbe.
In una scelta stilistica assai condivisibile, The Dirt impiega – o sarebbe meglio dire 'dispiega' – quasi per intero il bagaglio tecnico comune ad ogni regista in attività, conseguendo in tal modo il risultato di raccontare in maniera lineare e mai noiosa un intero decennio di eccessi reiterati i quali, se esposti nella forma della serie televisiva, avrebbero certo indotto lo spettatore allo zapping dopo la seconda puntata.
A differenza della maggior parte della recente, industriale realizzazione di film insulsi dedicati a musicisti di successo (biopics), The Dirt ha il pregio di non celebrare gli eccessi dei suoi protagonisti omettendone furbescamente il lato oscuro – nonostante i Mötley Crüe abbiano contribuito, si pensa anche onerosamente, alla sua produzione (e questo valga come giudizio al contrario per Bohemian Rhapsody, pellicola che solo poteva risultare accattivante a coloro che con la musica hanno un rapporto, per così dire, conflittuale). Il punto di vista prevalente è senza dubbio quello di Sixx: le introspezioni e gli approfondimenti narrativi – scarni e rapidi entrambi – interessano esclusivamente la sua vicenda personale. Ugualmente è fatto protagonista di una sequenza – l'assunzione di eroina a breve distanza dall'overdose – che non lo configura esattamente come la prossima star di Hollywood, ma che, collegata a quella del cambio di nome all'ufficio anagrafe e, ancor prima, a quella di autolesionismo in tenera età, ne fa una figura disperata e fragile con la quale lo spettatore può empatizzare senza alcun imbarazzo. Il tutto senza rinunciare a momenti di grande commozione, distanti anni-luce da qualsivoglia stile di vita rock 'n roll, come l'intimo ed ultimo sguardo tra Vince e la piccola Skylar nella stanza d'ospedale dove quest'ultima troverà la morte.
The Dirt dimostra due teorie. La prima è che qualunque storia può essere raccontata (si veda, per restare in ambito musicale, Lords Of Chaos di Jonas Åkerlund), a patto di crederci, essere capaci di fornirne una visione e – va da sé - saperla scrivere. La seconda che ancora, in Italia, la censura è in atto, non più a livello contenutistico, bensì artistico-direttoriale. Le nostre produzioni sono soggette al tabù – politicamente imposto od assecondato - del tema inenarrabile (quale sarebbe certamente considerato quello di The Dirt, qualora si trovasse nella penisola un solo direttore artistico in grado di proporlo). E non fanno eccezione le belle realizzazioni di Romanzo Criminale, Gomorra e Suburra le quali, nonostante l'ottima fattura, confermano che nel Bel Paese si può parlare, al massimo, di temi legati alle cronache interne, nell'assoluto silenzio riguardo a molti altri argomenti ed altrettanti punti di vista.
In parole povere: ristrettezza di vedute ed assoluta mancanza d'interesse per l'altro-da-sé.
Per tutto ciò che è diverso.
Attuale - no?