Alla
fine, non ho resistito. Dopo anni di virtuoso contenimento, sono
andato a curiosare nei profili social
di
una serie di persone –
amici, conoscenti, simpatizzanti, followers,
parenti, ex, amici degli amici, figure pubbliche e persino alcuni dei
cosiddetti influencers
- ,
al fine di scoprire cosa passi loro per la testa, cosa pubblichino,
cosa li affligge, preoccupa, appassiona o rende felici, in questo
momento storico così difficile ed atipico. In buona sostanza, ho
concesso alle mie insicurezze di prendere il sopravvento, misurandole
in un mortificante quanto fasullo confronto. Facebook, Instagram,
Twitter, Tinder, Flickr, Pinterest, luoghi dove, con buona pace di
molti benpensanti, si consuma, specie in questi giorni di reclusione
emergenziale, la socialità 2020.
Mi
sono così imbattuto in una sequenza di pubblicazioni che, se
considerate prodotto dello sforzo creativo – si fa per dire - di
persone adulte, gettano nello sconcerto, quando non nello sconforto
più profondo. Materiale web
che spazia senza soluzione di continuità dall'inadeguato (sette anni
di posts
consistenti in soli aggiornamenti del proprio autoscatto in
differenti contesti domestici) al bizarre
(un tizio la cui immagine del profilo è un enorme pene eretto che
sembra nessuno abbia ancora provveduto a rimuovere tramite banning).
Nel mezzo, milioni di terabyte
di vero e proprio metano linguistico e comunicativo, dove grammatica
e tipografia risultano bellamente ignorate a favore di regole del
tutto nuove, spesso rivendicate dai loro utilizzatori come libero
esercizio di spontaneità.
Albe,
tramonti, nebbie, pietanze, selfies,
falsi clamorosi, paesaggi fantastici, citazioni improbabili,
condivisioni imbarazzanti, video amatoriali, posts
impiegati per comunicazioni private (“Ehi raga ci vediamo da Nello
alle otto” [sic],
“Lavori, domani?”), interi profili dedicati al culto di
personalità vere o presunte dello spettacolo, dello sport, della
politica, profili di neonati (!), di defunti (!) e financo di animali
domestici (!). Il tutto in una orizzontalità che equipara senza
curarsene Nelson Mandela ed il mostro del Circeo, Jovanotti e Miles
Davis, J. K. Rowling e Shakespeare, l'Angelus
del papa e la marcia dei suprematisti a Charlottesville, solo per
citare degli esempi a caso (sui social
è ormai concessa ogni permutazione morale). Esibizioni, erezioni ed
ordinaria follia, avrebbe detto Charles Bukowski.
Quel
che maggiormente mi ha colpito, però, è il quasi assoluto
scollamento dall'attualità riscontrato. Sembra davvero che, per
molti, non vi sia evento degno di una riga vergata di proprio pugno,
di una presa di posizione. Nel migliore dei casi, mi sono imbattuto
nella semplice condivisione di notizie, mutuate dai siti di
informazione generalista, senza riuscire in alcun modo a capire se il 'condivisore' ne fosse deliziato od irritato. È un
atteggiamento riscontrabile anche nella socialità, ma soggetto ad
una brusca mutazione quando la notizia impatta con la quotidianità
di questi 'indifferenti digitali', con la vita nei suoi aspetti
materiali. Allora diviene tutto un pubblicare, condividere,
'taggare', polemizzare ferocemente che molto dovrebbe far riflettere
sul presunto ampliamento di vedute stimolato dalla 'rete'. Non più
attivate dall'attualità, le persone cercano altrove quella scossa
senza la quale non è possibile alzarsi dal letto la mattina. Si
giunge così alla fuga nel fantastico.
FANTASY
Penso
anch'io, come lo sceneggiatore Jason Hall, che, per molte persone,
il male non esista, e che tale illusione sia quella che le rende del
tutto impreparate alla sua inevitabile comparsa. Per molte altre,
invece, l'averlo dolorosamente sperimentato sulla propria pelle
sembra averne causato la quasi totale rimozione. Non si spiega in
altro modo, il proliferare incontrollato di immagini fantastiche,
luoghi non fisici frutto di ritocco, cui tante persone, attraverso i
propri profili social,
sembrano affidare l'espressione dei propri più intimi sentimenti.
Chalets
di montagna immersi in ambientazioni da film, attici soffusamente
illuminati con vista mozzafiato, aperitivi in luoghi esclusivi,
deluxe,
giovani donne griffate dalla testa ai piedi, famiglie sorridenti e
felici riunite sotto fastosi alberi di natale, caminetti dalla luce
primigenia, animali che sorridono (giuro), intimo femminile
abbandonato allusivamente in sfarzose camere da letto, cene
romantiche durante 'perfette' tempeste di neve. Puntualmente, ognuna
di queste immagini risulta chiosata all'insegna della stucchevolezza
più decadente o di un astio represso a fatica. Slogans
e aforismi cui sembra venire affidato un desisderio di rivincita
sopito da tempo: nei confronti della vita, nei confronti di un
partner.
“Inizia la settimana più magica dell'anno”, “Il tempo […]
restituisce tutto a tutti”, “Dedicato a chiunque stia aspettando
qualcosa”, “È la sincerità che rende speciale una persona in
questo mondo di false apparenze”, “Un momento di gioia […] non
siamo noi ad afferrarlo, ma è lui ad afferrare noi”, “Che
parole meravigliose sono gli sguardi”, “Dance
is my life”,
“Chi non perde mai la testa smarrisce il cuore”, “La vita ti
sorride quando hai il coraggio di fare ciò che ti fa sorridere”,
“Vi auguro tempeste di felicità”, “La dolcezza, un abito che
non passa mai di moda” e via dicendo. Risucchiato dal vuoto
pneumatico di queste banalità un tanto al kilo, è stato solo dopo
parecchia 'navigazione' che ho realizzato quanto segue: il 100% di
questo orrore, quello nel quale mi sono imbattuto, risulta pubblicato su profili appartenenti a donne.
CHECK
POINT CHARLIE
Un'altra
tendenza diffusa, emersa durante lo spionaggio di cui sopra, è
quella all'impiego fazioso, distorto e, obiettivamente, diffamante
del mitico fumetto yankee
Charlie Brown. Charlie ed i suoi piccoli amici hanno guadagnato un
posto nell'immaginario collettivo grazie all'innocenza disarmante
con cui per cinque decenni hanno chiosato quotidianamente (!) non
solo l'attualità quando questa si faceva tanto invadente da non
poter essere ignorata, ma anche le spesso amare constatazioni sulla
vita emerse nel corso di un breve dialogo o frutto di riflessione.
Arguzie, battute, un pizzico di understatement,
mai una volgarità. Esattamente l'opposto di quanto caratterizza gli
stessi personaggi nella versione social.
Singoli quadri del fumetto vengono selezionati e montati a dovere al
fine di adeguarli all'espressione di pensieri, parole opere ed
omissioni di dubbia origine, sconcertante grevità e di una banalità
che mette alla prova. Ma soprattutto: lontani anni-luce dal pensiero
di Schulz, il papà della 'striscia'. “Ti spaventa l'infinito?”,
“Più il congiuntivo.”; “Il problema è che gli stronzi vivono
bene e spensierati e i buoni vivono in ansia e con la gastrite.”;
“Lo spread
sale ma lo spritz scende che è una meraviglia.”; “Houston,
passami Lourdes.”; “Ci si stanca anche di rimanerci male.”;
“Anche le mie ansie hanno l'ansia.”; “In vino veritas in vodka
figuriamocis.”. Trionfo del fake,
pensiero conto-terzi, apologia di ignoranza. Frasi che i
protagonisti del fumetto MAI si sarebbero sognati di pronunciare, e
che ora campeggiano in bella vista in molti profili social
e financo come immagini di copertina, ad indicare, in una totale
assenza di vergogna, la fonte temporanea, passeggera, effimera, del
proprio pseudopensiero.
LONELY
HEARTS CLUB.
Una
dinamica che emerge altrettanto chiaramente, rispetto a quanto fin
qui descritto, è quella uomo-donna. Il primo, rimosso ogni tratto
contenutistico, se mai ve n'è stato alcuno, sembra essersi
specializzato, negli anni, nel commento sessualmente allusivo quando
non addirittura spudorato, bavoso. “Bellissima”, “Stupenda”,
“Sei una gnocca davvero”, “Non ho parole”, “Ho una paresi”,
“Sirena voglio essere il tuo scoglio”, “Come vorrei essere
quella maglietta”, “Questa sera serata con Federica la mano
amica”, “Uno schianto”, “Mmmm”. Imbarazzo a parte, sono
frasi che, dette di persona, porterebbero in tribunale per
direttissima, con molta probabilità per volere delle stesse
destinatarie, mentre nel contesto social
assumono la valenza di punteggio da classifica-cannonieri. In una
disperata ricerca di consenso a colpi di scollature, sguardi bovini
fuori campo ed ammiccamenti da anni della 'Disco', la donna social,
infatti, ha completamente annientato le poche, concrete conquiste
conseguite dal femminismo barricadero,
in un tripudio di autoscatti settimanali a bassa definizione,
sostanzialmente identici gli uni agli altri, nonostante l'evidente
pretesa di presentarli come sfaccettature sempre diverse ed
irriproducibili del femminile. “Stasera decido io”, “Shhhhhh”,
“Dedicato a chi ama sé stessa”, “Due gocce di profumo e...
pronta”, “Oggi sono solo mia”. Se gli altri networks
rimangono prevalentemente deputati alla polemica rabbiosa, gratuita
(hating),
e ad un esibizionismo erotico e narcisistico, Facebook, in particolar
modo, sembra diventato un club
per cuori solitari, dove, da profilo a profilo, ha luogo quella
dinamica decadente di corteggiamento un tempo appalto di night
e balere – dove, risaputamente, la tecnica per il cosiddetto
'struscio' o 'rimorchio' per la conquista dell'agognato rapporto
occasionale, da esibire come trofeo nella sala della caccia, è
sempre consistito nell'approcciare sistematicamente ed
insistentemente tutti i tavoli occupati da almeno un essere umano.
FELLATIO
Se
per Harvey Keitel in Pulp
Fiction
l'abbandono ai facili entusiasmi era un atteggiamento da tenere ben a
freno (“..., non è ancora il momento di cominciare a farci i
pompini a vicenda.”) - una delle sequenze più belle e divertenti
degli ultimi 30'anni -, va da sé che il popolo della 'rete' o non ha
visto il film (probabile) o l'ha visto e non ha capito (probabile).
O, ancora, l'ha visto e l'ha disapprovato (improbabile). Incuranti
dei preziosi consigli di Keitel/Wolf, le coppie social
non perdono infatti occasione di esibire il proprio status
solido al giungere di anniversari di fidanzamento o matrimonio. È il
trionfo del modello Mulino Bianco, della grande illusione,
dell'ipocrisia sfacciata. Lui scrive a lei auguri sperticati: lei fa
lo stesso. Il popolo, astante, si produce in un profluvio di consenso
digitale e commenti robotici. Fellatio.
Eiaculazione. Tripudio. “Auguri, amore mio”, “Vent'anni
innammurati”, “Dieci anni... IN CIMA AL MONDO”, “Quindici
anni insieme e una famiglia fantastica GRAZIE AMORE MIO”, “Grazie
di esistere... per sempre”. Secondo uno studio condotto dal
centro-statistiche Cavenaghi Seminara di Pozzallo (RG), negli ultimi
quindici anni, da quando cioè la rivoluzione digitale ha colmato il
fisiologico gap
iniziale, risulta che il 79% delle coppie titolari di un profilo
social
consumi il tradimento del partner
entro il quinto anno dalla registrazione al network
di preferenza. Ciò significa che la comparsa di quello che nella
cultura popolare italica è riconosciuto come inequivocabile segno di
tradimento subìto, le corna, deve la propria crescita ad incontri ad
alto potenziale erotico ed esibizionistico stimolati dalla
frequentazione assidua e notturna dello stesso network
nel quale, ora, si celebra l'inossidabilità dell'unione. Quindi,
vaffanculo.
PUGNETTE
A
chiusura di questa carrellata horror,
non posso non soffermarmi sulla tristezza indottami dalla ripetuta
visione dei selfies
orgogliosamente campeggianti in quasi tutti i profili visitati. Da
bambino, ma anche successivamente, fino ben dentro l'età adulta,
ricordo di avere sempre provato una forte pena per quei coetanei
affetti da strabismo più o meno accentuato. Quella loro apparente
incapacità a mettersi in asse con il tuo sguardo mi distraeva,
paralizzandomi, da qualunque cosa stessero dicendo, fosse anche un
insulto o la minaccia di pestarmi per bene fuori da scuola.
Sensazione rivissuta in questi anni di proliferazione incontrollata
dell'autoscatto, del selfie,
negli sguardi puntualmente disallineati dall'obbiettivo, la tensione
muscolare di sessioni fotografiche prolungate che modifica
sensibilmente l'espressione del viso, i fondali tristissimi di
appartamenti spogli o di camere scarsamente illuminate, il cui
messaggio implicito sembra sempre essere: siamo soli. (se avessero
letto qualche buon libro in più, godrebbero oggi del doppio conforto
dato dallo scoprire che le più belle pagine sulla solitudine cosmica
non le ha scritte quel segaiolo di Garcia Marquez bensì Primo Levi).
Selfie
è neologismo sorto dal sostantivo self,
indicante il nostro 'sé', suffissato alla maniera sassone al fine di
formarne il diminutivo. Lo slang
più fortemente liberal
delle tante comunità della west
coast
statunitense anni '50, lo impiegò nell'accezione di 'pugnetta', di
autoerotismo, di qualcosa di sminuente che si fa a sé stessi in
totale autonomia. Mi-sono-fatto-un-selfie
si può ben intendere come: "Mi sono fatto una sega e l'ho messa
'in rete'". E così in diversi momenti della giornata, siano
essi quelli biologici della sveglia e del coricamento o quelli
pre-lockdown
della preparazione ad un'uscita che sempre è spacciata per galante,
ricca di attese e sottintesi, e chiosata con auguri di vario genere
(“Buonanotte a tutti”, “Una buona giornata”, “Il mattino ha
l'oro in bocca”), ecco apparire, immancabile, la 'pugnetta' del
giorno, una manifestazione davvero in grado di annientare ogni
sincero, spontaneo moto d'amore per la vita, con conseguenze letali.
Rimangono,
all'inventario di questa breve operazione di spionaggio, tutte quelle
pubblicazioni meritevoli di attenzione per il solo, semplice fatto di
essere frutto di una passione seriamente e lungamente coltivata,
pertanto meritevole di condivisione. Ed anche tutti i posts
originanti da una condivisione attiva, ponderata. Ma la loro comparsa
altro non fa che evidenziare drammaticamente, per difetto,
l'uniformità di pensiero del mondo social.